Noi, gli altri
Solo gesti calmi, pacati e precisi, colmi di attenzione verso forme evocative, concentrati su ogni istante sospeso, mentre la mente abbraccia con unico sguardo il tempo vibrante nei fili mossi da un vento nascosto. Le carte di Enrica Passoni ospitano uno spazio dove il concettuale incontra il poetico, una zona di massima sensibilità per un’arte precisa, sorvegliata, che sfugge alle pressioni del non necessario. La medesima attenzione è rivolta verso l’anima delicata trattenuta in forme antropomorfe che rifiutano di essere nominate. Sono curve modulate su sviluppi ondulati e varianti filiformi indecise tra astrazione e stilizzazione. Nelle visioni di Passoni, si mostra una naturale eleganza di linee floreali mosse da energia fotosensibile: narcoanalisi e fotosintesi di forme arricchite dall’intuito vitale orientato verso una luce sempre presente ma mai abbagliante.
Il rispecchiarsi nei contorni solo accennati, il rispettarsi di forme tra loro non congruenti. Corpi senza occhi che vedono senza bisogno di guardare: anime senza riguardo per amarezze e delusioni. Pensieri in forma di segni che si protendono senza proteggersi dalle infiltrazioni della vita. Il pudore di lutti solo intuiti e mai dichiarati. Incontri che rivivono in forme solo suggerite, volti volutamente non riconoscibili, ma indimenticabili. Identità criptate, emozioni rivissute grazie ad un codice di accesso sempre personale e segreto.
Noi, gli altri che rinunciano a divenire se stessi nello specchio della differenza. Come vibrazioni di acque arrese sulla sabbia. Ospiti inattesi di luoghi dove ovunque è altrove. Tessuti di sovrapposizioni di segni ondulati, tracce di corpi oltrepassati, mai rinnegati, rianimati. Richiamati da tutti i possibili lati, da tutti i lati del possibile. Ombre di corpi allineati in un dispiegamento di linee in disposizione frontale. Foreste di essenze e presenze in ordine non casuale, senza reticenze né indulgenze.
Una cartografia delle regioni del corpo, delle ragioni dell’umano, della provincia dell’uomo. Una lettura in filigrana, per tracce sottocutanee e pulsioni che scivolano dalla vita rimanendo intrappolati nelle tessiture di sottilissimi strati di carta. Impronte prelevate dal mondo e trasformate in ritmi decorativi che sconfinano nelle pieghe delle sottilissime fibre di carta. Ritagli di vita, che si combinano in strisce fluttuanti in un cielo di carta. Ripetizione differente di moduli, in cicli infiniti di combinazioni di strutture e sequenze tra accordi di lirica leggerezza e intervalli di pause colorate, analogie, biforcazione di forme, ed incontri di profili mai perfettamente coincidenti.
Collage, papier collé, in un mondo clandestino di sans papiers, di intrusi dell’anima, di non invitati, di false carte di identità o di identità di cartone. Labirinti di Passoni, dove vagano soggetti disorientati, stilizzati ma non stigmatizzati, apolidi intrappolati senza certificati di appartenenza. Altri, di nessun luogo certo, di tutti i luoghi incerti.
Giochi di proiezioni di ombre di figure, che riempiono di densità nascosta la parte irriducibile del sé, in un ritmo di simmetrie, rimandi e ribaltamenti tra polarità opposte di pieno e vuoto, sempre alla ricerca di quell’Altro indispensabile e costitutivo dell’Io.
L’essenza è l’assenza sembra suggerirci l’artista, nell’indicare un possibile affiorare di senso sulla superficie dei molteplici strati intessuti per nascondere le chiavi di accesso al significato. Presenza mentale, forse orientale, rifugio della mente, rilassamento profondo capace di generare forme allusive sulle pareti dell’immaginazione.
Antropometrie composte proiettando impronte di corpi, prelievi viventi come contorni circoscritti da un’aura di presenza resa fossile sulla tela. Tracce di vita trasferite direttamente sulla superficie del quadro per divenire ombre fedeli ed indelebili.
La pratica artistica di Passoni sa allestire un teatro di segni piani, un fondale di uno spettacolo di ombre cinesi fatte di illusioni bidimensionali. Non è la forma prospettica rinascimentale dove la terza dimensione è costruita a mezzo di una illusione sapientemente costruita, ma al contrario, è un mondo dotato di profondità a cui viene sottratta la terza dimensione comprimendola nell’artificio di una superficie piana a due sole dimensioni. Nelle opere dell’artista monzese l’apparente fissità delle geometrie viene resa mobile grazie ad un movimento interno di attraversamento e sconfinamento lungo gli assi di direttrici decorative che taglia la pienezza delle figure e ne attraversa i contorni generando un dinamismo che mette in discussione l’unità stessa della forma compiuta, stagliata e riconoscibile nella configurazione percettiva. Grazie a questo dispositivo le relazioni simboliche di figura-sfondo perdono la propria unità ed univocità rappresentativa, il proprio stabile baricentro percettivo e si aprono ad essere vissute in una piena libertà musicale fatta di motivi dominanti e contrappunti che le attraversa secondo melodie che evaporano dalle forme rendendo possibile l’evasione dalla gabbia della forma cristallizzata e conchiusa in se stessa. Si libera perciò una infinita musica decorativa in modo di arabesco sfuggente che si insinua e trascende le forme rappresentate nelle forme di un alfabeto sconosciuto. Figure umane disposte secondo un modello di scrittura di note musicali prima dell’adozione del pentagramma come immagini di uomini-nota accordati tra loro secondo segni di notazione musicale. Un viaggio visivo oltre le apparenze, proseguendo oltre il contorno, in una tessitura alternata di figure sopra carte da parati, oltre le proiezioni mentali sulle pareti interne della mente. I legami di associazione mentale fluttuano in un libero automatismo esplorativo che trascende la grammatica di lettura della forma.
Figure umane filiformi, con il capo inclinato come accennando a una cerimonia di inchini orientali, senza peso, consapevoli della natura transitoria della propria identità migrante verso nuove anime. Già altre.
Vittorio Raschetti